venerdì 23 maggio 2008

Terremoto, tutta la Cina davanti al televisore

Continua a salire il bilancio delle vittime del terremoto nel Sichuan. L'agenzia di stampa cinese parla nel suo ultimo dispaccio di 55.740 morti, 292.481 feriti e 24.960 dispersi.
Riporta nel dettaglio i movimenti delle squadre di soccorso inviate dal governo cinese e dedica ampio spazio anche ai soccorritori stranieri (ci sono anche gli italiani).

I cinesi, in patria ma anche all'estero, stanno incollati alla televisione, che si muove con libertà illimitata nelle zone colpite dal sisma e racconta le storie di quelli che sono stati estratti dalle macerie e di quelli che non ce l'hanno fatta. Una copertura mediatica così accurata di una tragedia accaduta in madrepatria i cinesi non l'hanno mai avuta.

L'ultimo terremoto devastante, che ha colpito il Tangshan nel 1976, è stato argomento tabù per la stampa per decenni. Instillando nell'opinione pubblica, e non solo in quella straniera, il dubbio che il governo di Pechino non avesse risposto adeguatamente all'emergenza, fa notare Francesco Sisci nel suo blog.

Che aggiunge che, a vederla cinicamente, Hu Jintao nel suo rapporto con i media è stato molto più bravo dei suoi predecessori maoisti, che non sopravvissero all'oscuramento della tragedia del Tangshan.

La pressoché completa libertà concessa alla stampa, che sta permettendo una copertura televisiva quasi totale delle operazioni di soccorso, fa osservare ancora Sisci, non può che giovare al governo cinese, che può così dimostrare in diretta tv tutti gli sforzi compiuti per aiutare la popolazione a risollevarsi dalla tragedia.

A volere essere ancora più cinici, c'è da osservare che mentre Hu nel caso del Sichuan ha "usato" intelligentemente i media, non ha fatto altrettanto nel caso tibetano.

Vietare l'accesso ai giornalisti è sempre il sistema migliore per far capire a chiunque che qualche scheletro nell'armadio lo si ha.

L'unico corrispondente estero (dell'Economist) che si trovava in Tibet al momento delle proteste ha fornito una versione ben diversa dell'accaduto rispetto a quanto l'opinione pubblica occidentale mediamente si immagina. Ha visto monaci (autentici o no, avevano il capo rasato e indossavano le tipiche tuniche) che distruggevano vetrine di negozi han, ha visto sciarpe tibetane appese sull'uscio delle case, come a dire "qui niente saccheggi e devastazione".

Senza immagini a disposizione, dopo che il governo cinese ha vietato l'accesso in Tibet alla stampa straniera e controllato la propria, il mondo occidentale ha dovuto supplire alla mancanza di informazioni con l'immaginazione. I risultati di questa operazione Hu non li aveva minimamente previsti: la fiaccola olimpica che non trova pace, inseguita dovunque da attivisti, tibetani in esilio e pure qualche attore hollywoodiano. C'e' perfino qualche capo di stato che annuncia che per protesta non si presenterà alla cerimonia d'apertura dei Giochi.

Con la diretta tv del suo intervento nel Sichuan, invece, il governo non solo si è rifatto l'immagine, ma ha ottenuto anche un altro risultato, tutto sommato imprevisto.

Ha "riunificato" la Cina.
Tutto il Paese, tutte le fabbriche, da nord a sud, da est a ovest, si sono fermate per alcuni minuti per ricordare che si tratta di una tragedia collettiva.
E tutta la Cina si è riunita e continua a riunirsi davanti al televisore. Tutta, anche quella che dal terremoto non è stata minimamente toccata. Anche i cinesi emigrati all'estero, che dall'Italia come dal Congo si sintonizzano appena possono sulle frequenze satellitari della televisione di stato, CCTV.

Un ragazzino cinese, da poco in Italia, a scuola si lamenta perché non può guardare i soliti telefilm alla tv. "I miei genitori non fanno che guardare i reportage dal Sichuan". Gli chiedo se ha parenti o amici che sono rimasti coinvolti nei crolli. Mi dice che loro non conoscono nessuno che abiti nel Sichuan.

Il potere unificante che la tragedia ha da sempre, sommato all'altrettanto unificante potere del mezzo televisivo, ha ricompattato ulteriormente i cinesi. Anche se chissà se ne avevano davvero bisogno.

mercoledì 14 maggio 2008

Cina, quasi 15.000 i morti


Sono salite a quasi 15.000 le vittime del terremoto che ha colpito la regione del Sichuan in Cina.
Più di 50.000 soldati e paramilitari sono stati inviati nelle zone disastrate, ma le persone ancora sepolte sotto le macerie sono migliaia.

Nella mappa qui sopra, pubblicata dal New York Times, la geografia del disastro.

lunedì 12 maggio 2008

Terremoto in Cina, 9000 morti

La furia degli elementi non dà tregua all'Asia.
Pochi giorni dopo il ciclone Nargis, che ha messo in ginocchio la Birmania, è la Cina a dover fare i conti con una catastrofe di dimensioni inaudite.

Un terremoto di magnitudo 7,8 gradi della scala Richter ha colpito duramente la Regione del Sichuan, nel sud-est della Cina.


Secondo l'agenzia di stampa cinese, il bilancio attuale è di 9000 morti, ma si tratta di una cifra destinata a crescere.

L'epicentro del terremoto è stato a soli 100 km dalla capitale Chengdu, che conta circa 10 milioni di abitanti. Oltre alle case, sono crollate otto scuole della regione: soltanto in quella della città di Dujiangyan, un edificio a tre piani, sono rimasti sepolti 900 studenti.
Anche gli ospedali non sono stati risparmiati. E neppure due impianti chimici della regione, sotto i quali sono rimasti sepolti centinaia di operai e che hanno rilasciato sostanze altamente corrosive nell'area circostante.

Il governo ha agito immediatamente per portare soccorso nei territori colpiti dal sisma, mobilitando migliaia di soldati e paramilitari, ma molte vie di comunicazione sono rimaste bloccate a causa dei crolli di edifici e ponti e vi sono zone tuttora irraggiungibili.

In Cina non si vedevano terremoti così disastrosi da 30 anni: il sisma è stato avvertito in tutto il paese, perfino a Bangkok gli edifici hanno tremato. E le scosse di assestamento sono state oltre 300.

Oltre ai danni immediati, è probabile vi saranno anche quelli di lungo periodo. Perché la regione del Sichuan è una delle aree più fertili di tutta la Cina, ma la sua produzione agricola si basa su un sistema di irrigazione che il sisma ha danneggiato irrimediabilmente.

La mazzata all'agricoltura del Sichuan potrebbe provocare gravi ripercussioni economiche in tutto il paese. Il tasso d'inflazione, mai così alto da 12 anni a questa parte, potrebbe crescere ancora a danno dei consumatori cinesi.


(Immagine Reuters)

mercoledì 7 maggio 2008

Puttanatine...Per non perdersi...

In Asia non si può sbagliare strada, grazie ai furbi segnali multilingue che aiutano i turisti a valutare la propria situazione e agire di conseguenza...

Ma oltre all'inglese, qualcuno ha fatto giustamente notare che tra le lingue prescelte mancava l'italiano, anzi, il dialetto veneto...

Birmania, più di 20.000 i morti


Sono salite a 22.500 le vittime accertate del tifone Nargis, che ha devastato la Birmania lo scorso fine settimana. Un quarto del Paese è stato colpito dal tifone, che è passato anche per l'ex capitale Yangon, la zona più densamente popolata del Myanmar.

I dispersi sono circa 41.000, i senzatetto un milione di persone. Le devastazioni sono state provocate principalmente dall'onda d'acqua alta 3 metri e mezzo che il tifone ha sollevato nel delta del fiume Irrawaddy. Per la gente non c'è stato scampo.

Ma il regime militare ha continuato fino a poche ore fa a mantenere sigillati i confini e gli operatori delle organizzazioni umanitarie internazionali sono fermi a Bangkok, in attesa del visto per entrare in Birmania. Da poco la portavoce dell'agenzia per il coordinamento degli Affari umanitari (Ocha), Elisabeth Byrs, ha annunciato una prima svolta: la giunta avrebbe permesso l'ingresso di un primo aereo carico di aiuti Onu.

Sono molti i governi che hanno offerto aiuti per le popolazioni delle zone disastrate: anche gli Stati Uniti hanno messo a disposizione 250.000 dollari, interrompendo un embargo che dura ormai da anni. Ma i responsabili degli aiuti, governativi e non, non sono disposti a recapitare fondi e materiale senza controllarne la destinazione. Il timore è che la giunta militare si appropri dei fondi anzichè utilizzarli per alleviare i disagi della popolazione.

Intanto si viene a sapere che il dipartimento metereologico indiano aveva avvertito Yangon dell'arrivo del tifone con 48 ore di anticipo. Ma come nel caso dello tsunami del 2004 l'avvertimento non è servito a nulla.
Neppure stavolta la catastrofe annunciata è stata evitata.

Secondo Enzo Boschi, presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, il Sud Est asiatico è senz'altro un'area priva degli strumenti per affrontare emergenze di questo genere. Ma il problema non è solo questo.

In campo metereologico si potrebbe fare molto di più per la previsione di catastrofi simili.

Mettere in rete i principali enti di geofisica del mondo sarebbe la prima cosa da fare per ottenere un sistema d'allerta più rapido. Ma lo spazio non è libero: è il regno di poteri statali militari ed economici, che non hanno nessun interesse a permettere che un occhio pubblico monitori quello che accade nell'atmosfera e oltre.

Già solo con i satelliti esistenti si potrebbe fare molto per prevedere le catastrofi naturali, ma resta ancora aperto il problema di far arrivare in tempi brevissimi il segnale d'allarme ai diretti interessati, anche nei luoghi più remoti, e di organizzare l'evacuazione.

Anche nel caso dello tsunami del 2004 si era visto che nei Paesi con le migliori politiche di gestione del rischio, monitoraggio meteo ed educazione alle emergenze le vittime dell'onda anomala erano state molte di meno, grazie all'efficente e rapida evacuazione di enormi masse di persone.

lunedì 5 maggio 2008

Birmania, il ciclone Nargis fa 4000 morti

È passato per il Myanmar sabato, ma la tv di stato ha dato la notizia solo oggi.

Il ciclone Nargis, che ha causato finora quasi 4000 morti e migliaia di dispersi, si è abbattuto sulla Birmania a 241 chilometri orari, distruggendo tutto quello che ha trovato lungo la sua strada. Fino a raggiungere l'ex capitale, Yangon, la cui popolazione supera i sei milioni e mezzo di persone.

Sono centinaia di migliaia le persone rimaste senza casa, nelle zone colpite dal ciclone manca completamente l'acqua potabile e al mercato nero i prezzi sono già saliti alle stelle. Le candele sono completamente scomparse, a riprova della scarsa fiducia della popolazione in un rapido ritorno dell'elettricità e degli altri servizi primari.

La giunta militare, che governa la Birmania da ormai 46 anni, pare aver dato un cauto benestare all'invio di aiuti da parte dell'Onu e degli stati vicini.

L'India ha già preparato due navi cariche di cibo, vestiti, coperte e materiali sanitari da spedire in Myanmar. Sono stati promessi aiuti anche dall'Ue, dalla Thailandia, da Singapore, dal Giappone.

Arriveranno anche gli aiuti statunitensi, ma con un escamotage che permetterà agli americani di non perdere la faccia nel confronto col regime birmano: il Myanmar è soggetto a sanzioni durissime da parte Usa, perciò i fondi d'aiuto giungeranno attraverso il World Food Program e altre organizzazioni umanitarie.

Si stima che il numero di morti dichiarati sia destinato a salire ancora: le organizzazioni internazionali parlano addirittura di un bilancio finale di 10.000 vittime.

Nonostante lo stato d'emergenza, che coinvolge 24 milioni di persone, la giunta militare non ha intenzione di cambiare i propri piani.

Il 10 maggio aveva indetto un referendum per l'approvazione di una nuova costituzione redatta dalla giunta stessa, sempre in chiave autoritaria, anche se con qualche concessione a un non lontano futuro multipartitico.

Non sarà un ciclone a cambiare i piani governativi, i militari l'hanno fatto capire chiaramente. Attirandosi, com'era ovvio, le critiche degli oppositori del regime così come degli osservatori internazionali, che vorrebbero che in questo momento le priorità fossero altre.

(L'immagine pubblicata è di proprietà di Hla Hla Htay/France-Presse — Getty Images)

giovedì 24 aprile 2008

Tempi duri per il Caro Leader?

Si annunciano tempi duri per la Corea del Nord.

Secondo il New York Times, la Casa Bianca la settimana prossima renderà pubblico un filmato in cui si vedono tecnici nordcoreani al lavoro in un reattore nucleare siriano, poco prima che il sito venga bombardato dall'aviazione israeliana.

A quanto pare il fatto risale al settembre scorso, ma si è deciso di discuterne solo ora.

Secondo alti ufficiali israeliani e americani si trattava di un reattore nucleare in costruzione, molto simile a quelli che si vedono in Corea del Nord. Pare che i siriani, dopo aver protestato per il bombardamento israeliano, che ha raso al tappeto il sospetto reattore, abbiano ricostruito il sito daccapo.

Ma perché rendere noto l'accaduto sette mesi dopo?

Le circostanze sono piuttosto sospette. Alla Corea del Nord gli Stati Uniti, attraverso il negoziatore Christopher Hill, hanno proposto un accordo, che in molti nell'amministrazione Bush giudicano troppo generoso.

Con la sua politica, Hill ha in pratica rinunciato ai tentativi di strangolare economicamente la Corea del Nord, scegliendo invece di aprire una tavola rotonda con tutti i paesi dell'area (Russia, Cina, Giappone, Corea del Sud) per discutere il problema del nucleare coreano.

L'accordo proposto da Hill, che i nordcoreani si sono dichiarati disposti ad accettare, prevede che, in cambio della sospensione dell'arricchimento del plutonio, la Corea del Nord venga eliminata dalla lista Usa dei Paesi del cosiddetto asse del male e che le sanzioni economiche statunitensi contro di lei vengano eliminate.

Fin dall'inizio l'accordo era stato giudicato negativamente dai falchi della politica americana. Per Dick Cheney, così come per l'ex ambasciatore Onu John Bolton, si tratta di un accordo che fa sembrare gli Stati Uniti "deboli", fin troppo pronti a concessioni.

Un accordo che ha fatto perdere a Hill l'appoggio presidenziale e anche quello del segretario di stato Condoleeza Rice. Al Dipartimento di Stato Hill si trova ora in una posizione di forte isolamento.

Il timore dei falchi, oltre a quello di dare un'immagine debole degli Usa all'estero, è che i nordcoreani, rinunciando al plutonio, vogliano ora riservarsi una via alternativa al nucleare, attraverso l'uranio, per il cui arricchimento il Pakistan pare avere fornito le tecnologie.

La Casa Bianca vorrebbe che il governo del Caro Leader facesse chiarezza su questo punto, così come sulla presenza di tecnici nordcoreani nel sito siriano bombardato.

Ma tutto fa pensare che la decisione di rendere noto soltanto ora il video in cui si vedono i tecnici con gli occhi a mandorla al lavoro in Medio Oriente sia dettata dal desiderio di paralizzare i negoziati tra Usa e Corea del Nord.